Il presente porta visibilmente con sé, nei nostri corpi, tutta la nostra storia, pretende un'attenzione che ci lega oltre il privato, oltre l'individualità, oltre l'identità, senza le quali tuttavia la vita non avrebbe senso per il futuro, non ne avrebbe avuto mai nel passato.
Adriana Perrotta, Paolo Rabissi

venerdì 12 aprile 2013

Quando parlo di identità di poeta mi riferisco al fatto che esistono canoni di riferimento, anche se superati o abbandonati, che permettono di valutare se si è o no poeti. Questo senza considerare se si è buoni o cattivi poeti.
Se si è versificatori o artisti, ma uno che scrive in versi/prose poetiche è chiamato poeta, uno che dipinge è chiamato pittore, e così di seguito.
Tutt'al più si può parlare di dilettantismo, di naivité.
Non esiste -o meglio non  dovrebbe esistere- un canone, una norma per distinguere una buona femminista da una cattiva femminista, mancando qualsiasi elemento terzo rispetto al quale confrontare idee, comportamenti, intenzioni, atteggiamenti.

mercoledì 10 aprile 2013


Margaret Thatcher, è stata prima ministra del Regno Unito dal 1979 al 1990, unica donna sin qui ad aver ricoperto questa carica.
L'ha guidata l'odio di classe, l'ha guidata l'odio per tutto ciò che odorava di rispetto, socialista o comunista che fosse, per le genti sottomesse piegate dallo sfruttamento dell'organizzazione capitalistica del lavoro. A tren'anni un giovane che non si è ancora comprato una casa è un fallito, diceva. Il cinismo criminale che l'ha guidata era frutto delle frustrazioni di classe dalle quali proveniva e non c'è niente di peggio che il revanscismo pieno di livore di chi ha potere. Come ha fatto ad avere tanto potere? Il fiuto politico non le è certo mancato, ha saputo cogliere l'occasione, degna in questo di una nipotina di Machiavelli, ha fiutato prima degli altri che quella organizzazione del profitto per i ricchi andava cambiata perché non rendeva più e che lo si poteva fare perché i rapporti di forza stavano cambiando. Il movimento operaio occidentale e L'URSS stavano cominciando a segnare il passo a mano a mano che la capacità espansiva del fordismo e dei grassi profitti legati ad esso, pur con le concessioni del Wellfare, venivano meno. Ha rischiato molto a essere la prima ma è stata valanga, il partner Reagan e il bravo Bush le hanno poi aperto le autostrade. Il tutto in nome del neoliberismo, nel quale ovviamente le teste pensanti non si sono certo riconosciute, si trattava in realtà del capitalismo più selvaggio del secolo, quello più predatorio e riservato alle élites finanziarie. Per forza che passerà alla storia. Anche perché era una donna, e questo la dice lunga sulla sussunzione in proprio di certe donne dei canoni fondamentali del patriarcato, dai quali secondo alcun* saremmo liberi, confondendolo con l'emancipazionismo spicciolo. Una brutta donna. Non una donna brutta, ché questo c'interessa davvero niente.

lunedì 8 aprile 2013

Ho fatto un salto sulla sedia. L'identità del poeta è incontrovertibile? Proprio nel senso suggerito dal Dizionario come ciò o colui al quale è attribuito un valore di verità tale da non ammettere dubbi, esitazioni, dibattiti, repliche? Ma dai.
Una volta, in una delle mie visite a G. N., gli confidai che ogni tanto mi sentivo quasi di usurpare il titolo di poeta. Come 'ogni tanto', mi rispose, io dubito di essere un poeta almeno cinquanta volte al giorno. E lo diceva lui che potrebbe legittimamente sopportare il peso di quell'incontrovertibile. Da allora ho smesso di pensarci. Però so bene che certe cose che ho scritto non possono che andare sotto la denominazione di poesia. Non saprei dove altrimenti collocarle. Ma credo che questo succeda anche a te: all'etichetta, nata per orientare, è difficile sfuggire, un po' per comodità e un po' per supporto all'identità.
Ma non sei poeta per sempre. Né ci nasci. A un certo punto della mia vita mi sono reso conto  che c'era un tipo di linguaggio che mi piaceva usare che non era quello di tutti i giorni, nemmeno a scuola. Un giorno ho scritto 'una spallata di rose'. Avevo sedici anni. Mi sono chiesto spesso da dove mi era venuta l'idea di unire una spallata con le rose. Ma mi piaceva moltissimo, infatti me la ricordo ancora.  Ma questo linguaggio può cessare di interessarti. L'amico G.N. ha annunciato che non scriverà più versi, è più interessato alla prosa. Anche T.R. ultimamente dice di scrivere solo in prosa (ma, e questo è un discorso a parte, l'amico Coviello, che di poesia se ne intende, lo invita nella sua Officina milanese e presenta giustamente come poesia le sue prose!).
Non è la stessa cosa per la femminista?
Insomma se ci possono essere buoni o cattivi poeti credo che possano esserci anche buone o cattive femministe.
Certo non credo invece a poeti e femministe perfetti. Ma hai ragione a dire che tra gli uni e le altre ci sono quell* che parlano come se lo fossero. Conosco esemplari di entrambe le categorie. Tra gli uni che ti fanno capire, dalle loro posture, vestimenti, ecc. che sono direttamente in contatto con l'iperuranio poetico al quale attingono per privilegio. Tra le altre che ti fanno capire che la comprensione dei problemi è sempre un passino più in là rispetto a dove li collochi tu. Comunque, perfetti o meno, per quanto dicono, per come lo dicono, non potrei che collocarli tra poeti e femministe.


domenica 7 aprile 2013

Se paliamo di mito identitario noto un'asimmetria tra noi due: l'identità di poeta è incontrovertibile, possono esserci buoni o cattivi poeti, dilettanti, naifs, o seri e impegnati, ma sempre di poeti si tratta.
Non è la stessa cosa per l'identità di femminista: possono esistere le buone o le cattive femministe?
E' maldestro il tentativo di assegnare meriti o demeriti a pratiche politiche e a teorie che divergono tra loro.
Non può esistere un modello di "perfetta femminista" secondo codici di comportamento e di pensiero definiti da qualcuna,  e considerati universali, eppure quanti ragionamenti prescrittivi si colgono nelle parole di molte donne, e perfino di qualche uomo "maestro" per essenza.
D'altra parte avallare tutti i comportamenti come legittimati da una scelta soggettiva rischia di mettere in ombra la questione della coscienza di..... (mi mancano  le' espressioni adeguate, perché "di genere", "di sesso" non mi sembrano esaurienti) e quindi  mi sembra annulli ogni possibilità di analisi.

sabato 6 aprile 2013

Altra interessante definizione a proposito del mito dell'identità, "stucchevoli malinconie identitarie".
Espressione che ricorre nella presentazione di un ciclo di seminari, intitolato Da Marx all'operaismo, sul sito www.uninomade.org

giovedì 4 aprile 2013


Condivido quello che dici su Lisistrata, l'eroina della commedia di Aristofane in una lettura moderna può essere reinterpretata come protofemminista. Ma Aristofane non potrebbe essere più lontano da simili prospettive. E non perché invece è maschilista (e neanche perché, più verosimilmente, fosse misogino, che in certi casi è pure da capire) ma perché al contrario è portatore assolutamente organico del patriarcato: che proietta fino a noi la codificazione irrigidita dei ruoli tra maschio e femmina, cosa che a sua volta genera i fondamentalismi (il possesso e la violenza legalizzati sul corpo delle donne) e in tempi favorevoli genera l'emancipazionismo che di per sé non modifica la sostanza del patriarcato, anzi lo rinforza, come la liberazione degli schiavi neri rinforza il sistema della fabbrica industriale.
Insomma nel quinto secolo a.c. (Lisistrata viene rappresentata per la prima volta nel 411, duemilaquattrocento anni fa!) il patriarcato è già al suo top nella società greca tanto che un  sistema culturale che lo riflette può esprimersi al massimo grado nel teatro. Insomma lì nella commedia di Aristofane i ruoli sono così vivi che ormai nessuno mette in dubbio che siano 'naturali', nessuno sa più che sono nati da una ipotesi di lavoro resa necessaria per la sopravvivenza di un ordine sociale. Così l'uomo è in sostanza un guerriero e la donna è una casalinga che ama i buoni sentimenti e la pace.
Lisistrata occupa l'acropoli con le donne ateniesi e spartane e le invita a sacrificare il proprio desiderio sessuale sottraendosi all'intimità con i propri uomini: costoro per riottenerla saranno più disposti a concedere quanto sta a cuore a Lisistrata, cioè la dichiarazione di pace tra ateniesi e spartani (siamo in piena guerra del Peloponneso). Già per se stessa l’idea della donna portatrice irenica di pace e dolcezza è una delle mitizzazioni maschili più note. Ma mi interessa rilevare altro nella commedia.
L’iniziativa femminile, che può essere scambiata per femminismo, è qui certamente assunzione consapevole di una soggettività anche forte, ma tutta interna al patriarcato.
Una soggettività che fa anche vincere qualche battaglia nella storia del rapporto tra i sessi.
A guidare la commedia sulla scena del teatro è un uomo col suo immaginario erotico prettamente maschile. Dal quale si deduce appunto l'organicità al patriarcato di Aristofane.
Anzitutto suggerisce che, prima che altrove, lo stimolo sessuale non può che trovare appagamento dentro la vagina. Almeno ufficialmente. Altre vie non sono dignitose, anche se poi, per non scontentare nessuno, Aristofane mette in bocca a Lisistrata l’invito ai maschi di servirsi all’occorrenza delle mani! Ma, e questo è ancor più significativo, Lisistrata appare convinta che in generale anche le donne concentrino esclusivamente il proprio piacere sessuale nella stimolazione della vagina: quando proprio non ce la faranno più le sue compagne nella lotta impegnate nell’astinenza potranno servirsi per consolarsi di uno di quei falli di cuoio che artigiani di Mileto hanno messo sul mercato!
Ma non basta. In una delle scene finali gli uomini si presentano alle trattative pubbliche con le donne con i falli in erezione per dimostrare che il loro appetito sessuale senza le donne non poteva essere soddisfatto. E questo non può che creare rischi per l’ordine familiare e sociale di cui la donna, con il suo lavoro di ‘cura’ domestico e ad personam è altamente responsabile. Di fronte alle donne e agli altri maschi presenti nella stessa scena e davanti al pubblico in platea, l'uomo vero non può che avere nel suo fallo desiderante la vagina l’argomento più convincente.
Ma non basta ancora. Nella commedia si dice delle donne che vestono baby doll, hanno una quantità incredibile di scarpe, si truccano e profumano e amano l'uomo profumato e coi peli nel didietro: Aristofane quasi senza accorgersene sollecita all'accettazione di un immaginario erotico che anzitutto è maschile e non femminile e lo spaccia per naturale e al quale come tale la donna deve uniformarsi. Lisistrata è una donna messa in scena da un maschio, portatore di un patriarcato mite, non fondamentalista. Un patriarcato non fondamentalista ma sempre ordine 'naturale' del mondo.
Qualche giorno fa c'è stata la sciagurata scelta di Napolitano di escludere donne dal - comunque screditato- gruppo di saggi, scelta che illumina sul maschilismo esistente, anche in uomini non dichiaratamente misogini; maschilismo fondato sulla cultura patriarcale, che assegna funzioni e sfere di attività  differenti per uomini e donne. Cultura della quale sono imbevute anche le religioni che conosciamo, basti pensare alle recenti dichiarazioni di papa Francesco, presentate come riconoscimento del "valore femminile", valore mai negato dalla chiesa nei confronti delle donne che si attengono ai compiti loro assegnati, di sostegno, assistenza, testimonianza, cura degli uomini, in una prospettiva di complementarietà.

Di fronte alle sdegno sollevato dall'iniziativa del Quirinale, si è sentita qualche voce di donna che ha invitato a fare come Lisistrata,  l'eroina di Aristofane, passata alla storia letteraria, e non solo, come  la donna che si è ribellata alla subordinazione delle donne. Ma Lisistrata è una figura che  non esce dall'identità femminile tradizionale, appartiene a una dimensione emancipazionista più che  femminista.

lunedì 1 aprile 2013

Io invece avevo di Jannacci un'immagine di "comicità", nelle sue canzoni, di "sberleffo", come ti dicevo ieri nei confronti dei seriosi, non solo dei potenti di turno, ma anche dei cant'autori suoi contemporanei, un po' tragici, cupi a volte.
Mi sollevavano l'umore le sue canzoni,  era possibile essere bravi senza essere per forza "impegnati" a criticare ogni forma di apparente superficialità, sempre pensierosi e pronti a sollevare il sopracciglio biasimante.
Una giornalista inglese, Laurie Penny, in un suo articolo osserva come lo stereotipo del femminismo sia fortemente osteggiato da uomini e donne, per la paura della perdita dell'identità femminile. La casella che imprigiona.
Molto rassicurante la richiesta di parità, come inclusione, condivisione di incarichi e responsabilità a tutti i livelli, basta che non si intacchi il cuore del problema, le identità di genere
Mi chiedo quanto sia facile condannare in astratto la propria identità di genere, ma quanto sia difficile rinunciarvi nella pratica