Il presente porta visibilmente con sé, nei nostri corpi, tutta la nostra storia, pretende un'attenzione che ci lega oltre il privato, oltre l'individualità, oltre l'identità, senza le quali tuttavia la vita non avrebbe senso per il futuro, non ne avrebbe avuto mai nel passato.
Adriana Perrotta, Paolo Rabissi

martedì 11 marzo 2014

Prozac e quote rosa


Le quote rosa sono il prozac per una società sessista, tacitano il sintomo, senza incidere minimamente sulla malattia (disagio, sofferenza, sessismo....). 

Finalmente si è fatta chiarezza con le votazioni tenutesi in Parlamento il 9 marzo, che hanno bocciato tre emendamenti presentati per modificare in senso paritario la presenza degli uomini e delle donne nella prossima legislatura.
Con il voto segreto  la comunità degli uomini, nel suo complesso, aiutata da qualche donna cooptata e fedele, indipendentemente da orientamenti politici, ha mostrato  che non vuole condividere il potere di comando con le donne. 
Questo non vale per tutti gli uomini, ma per la maggioranza. 
Quindi è inutile affidare le speranze di raddrizzare un ordine sociale sbagliato (patriarcato) a meccanismi e regole di funzionamento, occorre indagare a fondo nella relazione donne uomini per andare a scovare l'origine di questo male. 
Il femminismo lo fa da quarant'anni, e alcune donne isolate avevano cominciato anche prima.
Detto questo, mi sembra incontrovertibile che le votazioni in Parlamento abbiano riguardato in realtà problemi interni a partiti, e problemi fra partiti. 
Si è consumata l'ennesima strumentalizzazione di una "questione femminile" (intesa come problema di donne, invece che questione generale di democrazia) per motivi e obiettivi di opportunità politica, da una parte c'era chi pensava di affossare il patto Renzi-Berlusconi con questo pretesto, dall'altra chi, temendo questo, ha sacrificato una conclamata adesione alla parità di genere per mantenere il patto scellerato.
Non è che gli uomini non vogliano donne in Parlamento, solo vogliono nominarle loro, per mantenerne il controllo; vanno bene donne che condividono l'idea della "naturale" divisine del lavoro, stabilita dall'ordine patriarcale, e/o quelle che resteranno fedeli ai ai capi che le hanno cooptate e alle loro future decisioni, senza ribellarsi e avanzare pretese di uguaglianza; donne propense a adottare la dimensione della complementarità, piuttosto che il conflitto.
Non si spiega altrimenti il silenzio delle ministre appena nominate, in numero pari con gli uomini nel governo e mute come pesci.
Non hanno proprio niente da dire in merito?
Io sono favorevole all'ingresso di quante più donne possibili in tutti i luoghi tradizionalmente maschili, soprattutto di potere, ma dico che non basta, senza un cambiamento profondo delle coscienze e della cultura di uomini e donne e una volontà di reale trasformazione della relazione si fanno pochi passi avanti, e se mutamenti si verificano,  si tratta di mutamenti di superficie, evenemenziali.
Non sottovaluto certo l'aspetto simbolico di una parità quantitativa, ma si tratta appunto di una trasformazione superficiale, che non incide sulla natura maschilista della nostra società.
A chi parla poi di democrazia paritaria ricordo che per essere paritaria  una democrazia deve lasciare in caso di elezioni libertà di scelta a chi elegge le/i propri rappresentanti.
Con le nostre leggi attuali, il porcellum prima, e l'italicum oggi, questo non è possibile.
In mancanza della possibilità di indicare preferenze, una schiera di donne "nominate" cooptate e fedeli a chi ha il potere di nominarle non mi rappresenta neanche un po', questa non è vera democrazia paritaria.
Un' ultima osservazione, in occasione di questo episodio su face book donne pro quote e donne  contro le quote se le danno -metaforicamente- di santa ragione; vexata quaestio, da anni se ne discute, il tema della rappresentanza femminile ha monopolizzato anche gli ultimi convegni femministi di Paestum.
Quello che mi dispiace è il rancore espresso per lo più da donne pro quote, che in sporadici casi arrivano ad accusare  di complicità con il maschilismo chi tenta di esporre le ragioni per cui non si sgretola l'ordine patriarcale semplicemente inserendo più donne in un mondo regolato al maschile, e chiamandole a condividerlo, tutt'al più a modernizzarlo e trattenerlo dal baratro, prendendosene cura.
Allora il nemico diventa non più la comunità maschile, saldamente arroccata sui suoi posti di potere, ma le donne che criticano le quote, che esprimono un pensiero critico, definite a volte pseudo-femministe.
Io sostengo solo che occorre lottare non solo per una parità formale,  ma per distruggere questo ordine, le mentalità e le realtà concrete che lo sostengono.

martedì 4 marzo 2014

Lista Tsipras e patriarcato



Non ne parlano perché non sanno che pesci prendere, perché ormai sanno che introiettare nel corpo dei valori quelli che provengono dalle analisi femministe significherebbe riformulare daccapo i programmi, riformularli intrecciati non tanto con obiettivi diversi da quelli soliti, che ogni tanto in definitiva appaiono penso ad esempio alla parità di genere contentino formale ora del governo Renzi, ma intrecciati con categorie che dell'insieme darebbero una formulazione rivoluzionaria.
Non si tratta di un pacchetto di proposte da far passare conquistando la testa del corteo o il tavolo dell'assemblea, si tratta di una strategia complessiva diversa, che richiede un livello di consapevolezza nuova che non si ottiene con la lettura di un libro ma con la pratica di vita, e finché questa non si è fatta corpo vero sociale non può inverarsi in un soggetto politico tanto forte da poter fare una rivoluzione che peraltro immaginiamo del tutto atipica, perché non si tratta di conquistare il palazzo con le armi ma solo con la vita e la conoscenza. Nonostante che  i tempi continuino a essere lunghissimi, oggi tuttavia a me  sembra di poter dire che  c'è in giro una consapevolezza che cresce più del previsto, sarà per il gran lavoro culturale fatto comunque in questi decenni soprattuto da parte di donne ma anche di uomini, sarà per Internet che velocizza le coscienze. Credo che si tratti di avere più fiducia che mai nella cultura che siamo in grado di produrre nell'era che stiamo attraversando, e che conoscerà verosimilmente altri progressi, più che nella politica effettiva che deve fare i conti con le urgenze 'storiche' che in questo momento interessano più la pancia e il portafoglio di quanto non fosse negli anni sessanta quando la 'rivoluzione' partiva da dentro il benessere.
Non ne parlano perché non sanno che pesci prendere, non perché ignorano le cose. Quando era in preparazione la formazione di ALBA l'anno scorso in una delle assemblee si levò una voce assolutamente insolita, diceva che era necessario cominciare a pensare di riformulare daccapo tutti i programmi per poter inserire le questioni del lavoro sessuato ecc. Lo ascoltai con meraviglia: ma nessuno raccolse il suo intervento. Fu più tardi  uno dei promotori di allora, ora nella lista Tsipras, a dirmi: non credere che non ce ne rendiamo conto, è che nessuno saprebbe da dove cominciare.
Insomma quel segnale in assemblea fu tenue, però trovai importante che ci fosse stato e formulato da un uomo.