Il presente porta visibilmente con sé, nei nostri corpi, tutta la nostra storia, pretende un'attenzione che ci lega oltre il privato, oltre l'individualità, oltre l'identità, senza le quali tuttavia la vita non avrebbe senso per il futuro, non ne avrebbe avuto mai nel passato.
Adriana Perrotta, Paolo Rabissi

sabato 30 marzo 2013

Il flauto che accompagna.
"Non c'è arte senza visionarietà, rovesciamento di logiche consolidate, sberleffo verso il potere, pietas, gusto per l'improbabile e l'impossibile."
Lo dici riferendoti a Enzo Iannacci, deceduto ieri l'altro, malato da tempo, aveva 78 anni. Ha accompagnato la mia adolescenza, le sue canzoni sono state una delle colonne sonore della mia milanesità. D'accordo ci sono stati anche il rock, il blues, il jazz, nelle loro versioni anglosassoni e anche in quelle nostrane. A parte che nella musica e nelle storie di Iannacci c'era un po' di tutto questo. E del resto rock, jazz, ecc hanno nel loro dna le storie di emarginati, disperati, sfruttati. Ma nel caso di Iannacci non si trattava solo di questo. I suoi personaggi e la sua musica rimandano spesso a un mondo fuori posto, sotterraneo. Penso alla storia di prete Liprando, che fu per me diciottenne un tuffo nella storia, nella satira, nell'allegria. Ma in quella messa in scena fantasmagorica che è il giudizio di Dio a cui il prete viene sottoposto c'è molto altro. Anzitutto una vena letteraria laica che nella Milano di fine anni cinquanta suonava come una chiamata a farsi coraggio nel momento periclitante della mia già debolissima fede, ancora qualche passo e il mio ateismo si sarebbe organizzato al meglio, dandomi identità. Poi il coro. Nell'esecuzione del pezzo, introdotto da un cambio di voce in falsetto, viene introdotto un brianzolo curioso che è venuto addirittura da Como e che nel bailamme della folla attratta dallo spettacolo gratuito non riesce a vedere niente. Una situazione comica ma lui non ha proprio l'aria di uno che si diverte. Per venire da Como 'sin qui' deve essersi dato la briga di ascoltare notizie rumorose di cose straordinarie che si stavano verificando a Milano, un prete che metteva in discussione la potenza dell'arcivescovo della grande città! Un prete che affronterà il giudizio di Dio apposta per snudarlo e comprometterlo agli occhi dei fedeli. Già non è stato facile fare il viaggio di andata, ora toccherà anche tornare indietro senza aver visto niente. Il lombardo curioso deve essersene tornato triste e sconsolato, con l'aria di quello che nella vita non è mai al posto giusto. Ma senza rassegnazione. Gli eroi di Iannacci possono essere tristi ma mai rassegnati, mai pacificati, mai sconfitti, Spesso 'incazzati'. Difficile che quegli eroi dalla retroguardia della vita cui sembrano destinati possano raggiungere la testa, tuttavia chi non si sente mai al posto giusto nella vita non è detto che resti sempre indietro, talvolta te lo ritrovi poi in avanguardia. Perché lo spirito che anima quegli eroi di pochi mezzi è la volontà mai dismessa di provarci, anche a costo di sbatterci il muso, magari per vie straordinarie e irridenti le convenzioni. Una lezione di vita che aiutava a trovarsi.
Ma non è sempre così nell'arte? Non è forse con quel suo collocarsi 'fuori posto' che l'arte alimenta il riconoscimento identitario? In modo misterioso l'arte, la poesia stessa, offrono chances, occasioni, al proprio riconoscimento. Difficile però che alimenti miti identitari. Soprattutto la poesia. Nel caso della musica di Iannacci c'era un altro aspetto in gioco ed era la lingua usata, il dialetto milanese cui la voce aggiungeva espressività stralunate. Chi come me arrivava a Milano, nella città italiana più industrializzata ed europea, negli anni cinquanta, veniva accolto con quella musica e quella voce di suoni, cadenze e timbro ostici che ti costringeva a prendere la tua parte, a schierarti, a dire la tua.

1 commento:

  1. Che bello il simbolo! Bellissimo disegno il tuo, sorvolo sui molteplici significati ai quali rimanda. Sono tanti e ciscun* può scegliere quello che preferisce

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