Del resto riportare in qualche modo l’emozione in versi scritti è anche il modo di liberarsene e dominarla, solo che questa liberazione perché sia totale deve essere comunicata ad altri, se no non funziona.
Ma prima c’è l’emozione, poi su di essa si innesta di solito una riflessione.
Ieri quei versi che ti ho mandato sono nati dall’emozione di aver risentito per l’ennesima volta nel corpo il brivido della primavera. Li ho scritti e sono lì bisognosi di aiuto perché la prima stesura non è mai l’ultima, anzi. Ci tornerò con pazienza, finché saranno a mio parere degni di essere condivisi. Anche perché non c’è nulla di più pericoloso della primavera per un poeta. I poeti ne parlano da tremila anni, da quando conosciamo, almeno nel mediterraneo, la scrittura. Per cui essere banali è il primo rischio. Anche perché molto verosimilmente l’emozione è sempre simile a se stessa, almeno in questo caso.
Il risorgere della primavera, tanto per cominciare, è legato di solito all’infanzia, e per forza, si tratta di nascita e rinascita. A me istantaneamente, appena raccolto nell’aria quel brivido, sono venuti in mente i miei sei, sette anni, un’età lontanissima e in un luogo altrettanto lontano da qui. Dove c’era il mare. E questo è già l’altro rischio, parlare del mare. In un’epoca in cui sono tanti (tante) che sostengono che tutto è già stato detto. Vero, ma il limite è del pianeta, mica nostro, il mare c’è e continua a esserci, e ci siamo ancora noi che diciamo mare in un modo sempre diverso. Il problema appunto è nominarlo in modo diverso.
Primavera, mare.
Non puoi sbrodolare e devi dire i colori, delle strade degli alberi delle case. Gli odori, la temperatura, e i rumori del mare sotto gli scogli fino al cielo, alberi nebulosi di prima mattina, odori tenuissimi, di camomilla nei campi, delle fiorescenze sugli alberi da frutto, e poi il tepore che ti arriva a brani mescolato all’afrore del mare freschissimo di uova marce. E il riconoscimento del corpo nato e di nuovo nascente, il suo odore chimico, la consistenza delle mani, il liquore degli occhi, la sonorità della voce, l’umidità della pelle. Uovo deposto. Le galline per la strada sterrata dove vivevo. Il salnitro sui muri, la risacca che esibisce alghe e muffe, la pioggia fitta e silenziosa.
Ma basta, basta.
Perché poi l’altra difficoltà è innescare la riflessione su questo materiale. Evitare anche qui la banalità. Perciò stai tranquilla, non pensare che io pensi sulla morte. Prima che nascessi c’era il nulla. Tornerà ad essere nulla tutto ciò.
Ultima nota: l’importante in poesia è dire velocemente, e devi stare sempre in piedi mai seduto, con la pressa di vivere sul collo.
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