Negli ultimi tempi ho frequentato molto più del solito i social network.
Accanto ai numerosi vantaggi: la possibilità di informazione, scambio e confronto con molt*, la conoscenza di fatti, eventi e notizie non rintracciabili sugli altri mezzi di informazione, la possibilità di mantenere dialoghi quasi in tempo reale con molte persone, ho notato il riproporsi, spesso inconsapevole, dei meccanismi identitari.
Mi ha colpito l’aggressività, la difesa rispetto all’insinuazione di un dubbio, che le mie parole suggerivano, la reazione violenta.
Dopo un attimo di sorpresa, mi sono resa conto che avevo a che fare con una fragilità mascherata da arroganza.
Quello che più sconcerta è che la vulnerabilità (della quale soffriamo tutt* a vari livelli e gradi per la nostra stessa condizione di uman*) invece di comportare un momento di attenzione e compassione (nel senso etimologico del "patire insieme") a volte scatena reazioni di scomposta aggressività, così come, a un livello drammatico, scatena guerre tra popoli.
Anche individualmente abbiamo introiettato comportamenti che agiamo anche senza che nessuno ce li imponga.
Ci comportiamo come i poveri polli di Renzo e così facendo, senza magari accorgercene, aggiungiamo un filo di infelicità alla vita nostra e degli/delle altr*.
Eppure molt* di noi ricordano le critiche e soprattutto i pericoli derivati da identità assunte come immutabili, fissanti come gli spilli che inchiodano le farfalle agli albi degli entomologhi, e con fatica siamo riuscite a metterle a tema e a governarle.
In questa dimensione è stata fondamentale l’esperienza del neo-femminismo.
Alla fine degli anni Sessanta, quando si formarono in Italia i primi gruppi, i temi relativi alle identità (in prima istanza femminile) furono indagati, scomposti nei loro tratti essenziali, confrontati, disordinati, parallelamente a quanto le ricerche filosofiche e psicoanalitiche facevano nei propri ambiti disciplinari.
L'obiettivo delle ricerche teoriche e delle pratiche politiche di molte donne era quello di destrutturare l'identità femminile tradizionale, analizzando i modelli sociali e culturali nei quali era stata tradizionalmente inscritta e criticandone la naturalizzazione.
Negli anni Ottanta si verificò un cambiamento semantico, si preferì parlare di soggettività, la parola soggettività pone l'accento sul soggetto dei processi di individuazione, e quindi sulla differenze tra i vari soggetti, mentre il termine identità richiama in primo luogo il concetto di appartenenza -a un genere, una classe, un sesso, una collettività, una etnia, una lingua, un gruppo politico, una squadra, un esercito, una religione .....- insomma a un gruppo sociale omogeneo per certi tratti, individuati e promossi a elementi determinanti l'inclusione o l'esclusione di altri/e che non condividono quei tratti.
Di qui la logica della contrapposizione noi/voi (loro), con le distorsioni in amico/nemico, buono/cattivo, e tutte le contrapposizioni escludenti che abbiamo sentito nella nostra vita.
Ora se è innegabile che ci sono tratti comuni e differenze tra persone, è anche vero che ciascun* di noi appartiene durante la propria esistenza a un numero indefinibile di gruppi omogenei, e si comporta conseguentemente secondo la propria sensibilità e coscienza nelle scelte da compiere quando viene chiamata in causa una specifica appartenenza identitaria.
Eppure nello scorcio del secolo scorso e in questo primo decennio del nuovo abbiamo assistito a un riemergere spesso violento di logiche identitarie, a causa dei rivolgimenti sociali -migrazioni da paesi impoveriti a paesi arricchiti-, degenerazione delle pratiche democratiche nei vari Stati, processi di impoverimento collettivo e arricchimento di pochi.
Quando ci si sente fragili, esposti a aggressioni di varia natura sempre in agguato, l'identità collettiva fa sentire meno sol*, assicura una solidarietà tra i e le componenti il gruppo di riferimento e fa sperare in una difesa collettiva.
La contrapposizione tra identità collettive differenti tra loro costituisce inoltre un'arma di distrazione di massa dai veri conflitti che potrebbero sorgere in una collettività contro i reali detentori di privilegi e poteri, è così che si può leggere il grande spazio dato dai mezzi di informazione e di intrattenimento, in primo luogo la televisione, a spettacoli che contano su questi meccanismi identitari per scatenare conflitti nei confronti di falsi obiettivi.
Il risultato è sotto gli occhi di tutt*, e la modalità di comportamento ha pervaso anche i luoghi della partecipazione politica, come se questi meccanismi identitari costituissero l'unico mezzo di relazione e confronto tra persone e gruppi.
Una scrittura a quattro zampe. Il blog ci nomina con una delle identità che orientano le nostre scelte di vita e di pensiero, sono quelle che meglio, e da più lungo tempo, ci rappresentano sia nel nostro nucleo affettivo di figli, nuore, nipoti e amic*, sia all’esterno. Sono anche le due dimensioni che ci vedono con maggiore continuità impegnat* nella ricerca e nello studio, nonché le dimensioni che fanno scattare tra noi a volte solidarietà e complicità a volte litigi più o meno interminabili.
Il presente porta visibilmente con sé, nei nostri corpi, tutta la nostra storia, pretende un'attenzione che ci lega oltre il privato, oltre l'individualità, oltre l'identità, senza le quali tuttavia la vita non avrebbe senso per il futuro, non ne avrebbe avuto mai nel passato.
Adriana Perrotta, Paolo Rabissi
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