Ma che tipo di rapporto si stabilisce tra un poeta e una
femminista?
Mi sembra che la femminista abbia bisogno di affrontare direttamente la
realtà, il poeta è spesso obliquo, tangente, allusivo, dice e non dice,
avvicina cose lontane o allontana cose vicine. Piuttosto contradditorio perché
sulle verità del mondo ha poco da dire e tuttavia non se ne sente lontano,
pensa piuttosto che il suo verso sia un modo per avvicinarsi ad esse senza mai
raggiungerle. In questo insegue una logica illogica, non aristotelica. E’ la
logica dei sogni nei quali si accampano io e non-io contemporaneamente, in cui
sei attore e spettatore contemporaneamente. E tuttavia è sbagliato pensare che
il poeta se ne stia accoccolato nei suoi sogni. Il suo rapporto con la realtà è
ovviamente soggettivo ma vale quello di chiunque altro. In questa realtà
valgono le leggi simmetriche e non quelle oniriche, la logica aristotelica, la
logica governata dal principio di non contraddizione. Qui allora maschio e
femmina si relazionano ma qui la femminista opera il suo scarto che la mette in
una condizione molto simile a quella del poeta. Nel senso che anche lei mette
in gioco una dimensione di sogni e utopie che riguardano la coscienza,
l’intelligenza delle cose, il corpo, i sensi, i sentimenti. Che poi non lo
faccia in versi ma anche con altre forme di espressione che la nostra civiltà
tecnologica mette a disposizione questo è indice di fantasia. Del resto, è
noto, lo fa anche in versi.
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