Il presente porta visibilmente con sé, nei nostri corpi, tutta la nostra storia, pretende un'attenzione che ci lega oltre il privato, oltre l'individualità, oltre l'identità, senza le quali tuttavia la vita non avrebbe senso per il futuro, non ne avrebbe avuto mai nel passato.
Adriana Perrotta, Paolo Rabissi

martedì 29 aprile 2014

Le cicogne di Micene



...hai ragione a dire che è presto per dire la fine del patriarcato. Però è cominciata da tempo. Per noi Occidentali dal giorno in cui Agamennone sacrificò Ifigenia e Clitennestra uccise Agamennone e Oreste uccise Clitennestra e poi lui ne fu perseguitato dalle erinni... Ma l'agonia sarà ancora lunga. Del resto quanto tempo gli ci volle per diventare la nostra cultura? Diecimila anni, ventimila, centomila?

Le cicogne di Micene 
(lettera in ricordo all'amica di viaggio).

Non era l'alba dei sogni né il tramonto delle idee
quel nostro varcare la porta dei leoni 
incastonati nelle pietre di Micene,
aprivano per noi un varco nel tempo,
e a tetti e pareti mancanti
ci accolse odore di fieno e di morte
come se gocce di sangue, ferite aperte,
scintillassero ancora tra basamenti intatti.
Il sentiero ci conduceva a voci sopite,
io a lei tu a lui la mano, per quei tremila anni
come un battito di ciglia, la tracotanza di Agamennone, 
il rancore di Clitennestra.

Dicevamo di quegli scenari consueti,
di maschi guerrieri inventori di ruoli e tradizioni 
per la propria egemonia di vendicatrici private
mai libere a mimarne gesta  e pensieri,
come fosse un destino più forte persino degli dei
che hanno abitato alberi, statue e ginestre
di questo paese.
No, nessun destino. 
E' volere arcaico, ordine patriarcale, 
che intreccia passioni e divino,
che ci vorrebbe eredi per sempre di maschere d'oro,
tombe ciclopiche, armature ammaccate.

Ci teniamo noi a passioni pazienti 
di lumi e non di incendi. La tua mano a lui la mia a lei
voltiamo le spalle a Micene, abbiamo un patto nuovo
alla fine del sentiero, dividere tra tutt*
il tempo di cura dell'aria, dell'acqua, della terra. 
Finché il pianeta ci tenga.
Per ora contentiamoci di un the in questo bar
fuori mano. Le cicogne su quel palo hanno l'aria
di mandare segnali. L'una si stacca in volo e torna,
l'altra l'accoglie col battito sonoro del becco, un applauso.
Ci chiediamo chi sia il maschio e chi la femmina.
Le abbiamo lasciate al loro destino.

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Sulla salute attuale del patriarcato

Da più parti sento affermare che il patriarcato è "in dissoluzione", se non addirittura morto e sepolto.
Io confesso di sentire un certo disagio di fronte a queste affermazioni, perché continuo, nelle mie riflessioni, a tenere lo sguardo fisso proprio sull'intreccio sistema capitalistico (sociale) e patriarcato (simbolico) come due catene che a gradi e diversi livelli di pressione/oppressione in tutto il mondo, tengono inchiodati/e donne e uomini a vite dolorose  e insopportabili, tutte le dichiarazioni di morte del patriarcato mi fanno sentire come  la combattente di una battaglia di retroguardia, come una ultima giapponese nella foresta tropicale, che non si accorge che lo scenario in cui vive è grandemente mutato.
Io credo che questo dipenda da che cosa si intende con il termine patriarcato: se si vuol dire che si sono rotti gli universi simbolici sui quali si basava, la cosa è ovvia, almeno nella nostra cultura occidentale, da circa quarant'anni a livello di massa, e prima  solo a livello individuale - donne e uomini che hanno messo in crisi quel paradigma nel corso di secoli-. 
Ma se si esce dalla dimensione di considerarlo un potere assoluto e impenetrabile, se non lo vede come un monolite, ma si riflette sulle sua capacità di adeguarsi ai mutamenti sociali di superficie, sulle sue tecniche di penetrazione e conquista di cuore e menti, sui suoi modelli di organizzazione sociale, culturale, politica scientifica via via aggiornati e proposti... Se si fa attenzione ai linguaggi, sia specialistici  che colloquiali familiari che hanno permeato, allora si vede che è vivo e vegeto nelle menti e nelle coscienze di molte e molti, qui da noi e nel resto del mondo, con il quale siamo in stretta relazione. Per queste ragioni è  accettato e riprodotto da noi inconsapevolmente nelle nostre stesse relazioni sociali. 
Più di trent'anni fa alcune donne dei Centri  italiani, sulla scorta di quanto avveniva in altre zone d'Europa e d'America (anche del centro-sud) avviarono la riflessione sul sessismo linguistico e sulle sue conseguenze nella costruzione identitaria di donne e uomini, denunciando il ruolo della formazione di soggettività che una lingua androcentrica -patriarcale- ricopre nella formazione di soggettività nella comunità dei/delle parlanti, con le metafore e gli stereotipi che assorbiti fina dalla nascita vengono considerati "naturali" e non "storicamente determinati". Questo  discorso, articolato in testi, seminari, convegni che prendevano in considerazione  molti settori della comunicazione formale e informale, venne irriso, e osteggiato anche da molte donne del movimento come irrilevante. 
Oggi per fortuna è cambiata la mentalità, ma ho portato questo esempio proprio per attirare l'attenzione sugli aspetti di manipolazione da parte del sistema patriarcale, e sul pericolo di sottovalutare la sua disseminazione nelle coscienze. In fondo la stessa cosa si può dire del sistema capitalistico, già in crisi in tutto il mondo, attaccato  anche nei suoi stessi fortini, criticato da tutti, non a caso strettamente intrecciato con il sistema patriarcale, ma mi guarderei bene dal dire che è in dissoluzione.